Monumento del Pescatore

(Ovvero la forma dell’anima marinara)

di Francesco Collura

Sul lungomare della Tonnara è stato scoperto un monumento al pescatore e finalmente riempito un vuoto, nel senso che, per sottrarre all’oblio che divora gli uomini e tutte le umane cose, l’Associazione Culturale Prometeus, ha reso concreto il proposito di elevare un’opera specifica mancante a Palmi e quasi assente nelle calabre località rivierasche, nonostante i molti chilometri di spiaggia.
L’esecuzione di questa, affidata alla singolare dote artistica di Achille Cofano (scultore molto legato alla nostra città), ora si può ammirare nella sua armoniosa interezza e da essa farsi rapire laggiù sul limitare della Costa Viola.
Il gruppo bronzeo riproduce due figure; una muliebre in piedi, incinta, solenne nella sua apparente staticità, l’altra virile, seduta sulla sabbia, colta nella sua mite, solerte operosità; attenta e pensosa insieme.
La “Bagnarota” ed il pescatore, giovani perché rappresentano la vigoria fisica tipica della gente di mare.
Lo sviluppo quasi orizzontale dell’uomo è compensato proporzionalmente dalla verticalità lievemente attorta della donna, con lo sguardo verso il mare, ferma nel suo fiero eppur femminile atteggiamento quasi di sfida, decisa nell’indomita difesa degli affetti a lei più cari: lo sposo ed il nascituro.
L’ordine sequenziale delle figure, disposte a scansione orbitale, si snoda in vari punti di osservazione, dato che non c’è un davanti ed un didietro distinti in modo assoluto.
Questa frontalità perimetrica non riduce però la percezione sinottica dell’opera intera, nè il peso visivo.
Si aggiungono la cesta per il pescato ed una rete.
Il riferimento al mestiere esercitato è palese e subito si percepisce in modo chiaro il messaggio dello scultore.
Comunque non si avrebbe un quadro completo, né si potrebbero cogliere i significati reconditi o evidenti dell’opera, se non si indicassero in premessa la notevole vis creativa, l’accesa sensibilità di chi l’ha concepita, nonché la consapevolezza del moto storico che l’ha ispirata ed alla cui genesi concorrono le più vitali esperienze psicologiche, spirituali, culturali ed artistiche del suo autore.
Il monumento è in boccio l’esatta immagine di una società che sembra oggi insultata dalle tendenze e dalle tentazioni della modernità, ma che fino al recente passato ha tracciato un segno profondo nelle epoche del nostro meridione.
I pescatori o meglio i “Bagnaroti”, perché la vicina Bagnara definisce in modo gergale la gente che vive di pesca, hanno dato origine a quella civiltà marinara a cui tanto devono l’economia, la cultura, le vicende del territorio, le tradizioni, la nostra stessa storia.
Cultura ben evidenziata nella citata opera con la quale Cofano rivela appieno lo spirito del borgo con approccio fortemente emotivo e coinvolgente passione.
La tematica che prima colpisce nell’osservarla, è quella della matriarcalità.
La donna, come è noto, ha un ruolo importante in questa comunità e bene ha fatto lo scultore a proporla in piedi, non certo in posa di dominio, piuttosto di protezione.
La matriarcalità, non ostentata altezzosità, ma sofferta coscienza del proprio ruolo inalienabile, famigliare e sociale, culto smisurato del focolare, consapevolezza di chi può fare (o disfare) la casa, decorosa condivisione di sacrifici, patimenti, difficoltà esistenziali e soprattutto supremo pregio: devozione alla maternità che assicura la continuità, il futuro, la speranza.
Lo sposo, umile e mite, con quella fisionomia si direbbe greca, dai tratti tipicamente mediterranei e quindi nostrani, piegato sulla rete come in barca sui remi, preso dalla continua e paziente occupazione, palesa nel volto assorto e quasi dimesso, le fatiche imposte dal mare e dalla vita.
Tutte le tribolazioni ataviche della sua sofferta condizione, segnata sempre dalla “Sarmura” nell’accezione repaciana del termine, confortata tuttavia dalla vicinanza rassicurante della consorte, che si pone come mediatrice tra l’essere e l’esistenza, protettiva tra il mare con la sua minacciosa imprevedibilità, la sua smisurata potenza e la riva come rifugio.
Dignitosa fra le necessità e ciò che si impetra alla “Provvidenzialità” del mare, incoraggiante fra lo sconforto di certi momenti e la speranza di un sicuro riscatto.
Ecco che la realtà quotidiana sembra rischiarata ora da una presenza divina che valorizza la realtà umana e Cofano la rivela persino nei dettagli con eleganza squisita, postulando via via alle forme l’irrompere di quell’elegiaca virtù propria del ceto marinaro.
La luce di virtù che promuove a suo modo dalla figura austera, come se adombrata da un triste presentimento, dà infine ad essa una segreta e consolante dolcezza.
Il tutto lungi da qualsiasi uggioso intento agiografico o esteriore edonismo.
I motivi dunque combinati con perizia artistica, si compendiano in una mirabile sintesi iconografica e la forma quasi umanizzata non più disanimata, ci suggerisce il valore supremo: “La Marinità” come identità, qualità che denota i comportamenti, le relazioni, alimenta il mitico-arcaico, le credenze, l’indole istintiva come peculiarità caratteriale, e fissa in modo indelebile i connotati morali borghigiani.
Dignità ed umiltà si pongono allora sulla sfera della nobiltà dei sentimenti, della sacralità ed illuminano l’arte che le interpreta e le materializza.
Nell’osservare e gustare l’opera con ponderata riflessione e l’animo sgombro da pregiudizi, si avverte un’intensa e suggestiva forza espressiva che supera definitivamente ogni solito stereotipo, ogni tetra astrattezza tematica, accentuando la solennità dell’impianto statuario, esposto certo con un linguaggio e con un ritmo compositivo sereno e lineare.
Ritmo lento e pacato che si scioglie fluidamente nella spazialità articolata e corposa dei profili.
Così il plasticismo delle immagini per nulla eccessivo, si realizza con cadenza attenta e misurata che lo attenua un po’ e nel contempo accentua la compostezza garbata delle fattezze anatomiche, esalta il culto per la linea libera e dinamica, definendo meglio i segni distintivi ed i contenuti nella loro indovinata essenzialità.
Infonde altresì un senso nuovo dell’estetica, appagando vieppiù il gusto dell’osservatore, perché crea una scena emozionante di schietta eleganza marinara, fissata nella sua autentica dimensione domestica, animata quasi da una visione religiosa dell’operare e del vivere.
Il realismo lirico-immaginativo di tale ispirazione, si allontana dai moduli oggi prevalenti che sovente travisano i volumi e la spinta interiore rifugge da ogni manierismo sperimentalistico, preferendo la purezza formale.
Con questa scelta elaborativa Cofano perviene senza dubbio ad uno dei suoi esiti più alti: una sorta di trasposizione plastica di quel mondo ideale che si vuole non dimenticato o perduto.
Intento ben riuscito, realizzato con accorta corrispondenza al vero e situato in un contesto naturale che ne avvalora i pregi ed il significato: l’inizio della Costa Viola, “l’Oltre”, favoloso e splendido, l’affascinante, il bello insomma.
Il gruppo si fa attirare da essa per farne parte, per confondersi e renderla più preziosa.
Vicino “l’Agghiastro”, poi la Pietrosa cara a Repaci, Bagnara e Scilla… le nostre radici, la nostra anima Brutia.
E qui il passato come per incanto, diventa continuo presente nella coscienza e nella memoria.

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